L'immagine come atto di Fede - Riccardo Saldarelli

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L'immagine come atto di Fede

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Mons. Timothy Verdon Direttore, Ufficio per la Catechesi attraverso l’arte Arcidiocesi di Firenze
prefazione al volume "L'AFFRESCO DELLA VIA CRUCIS"

l'IMMAGINE COME ATTO DI FEDE

Questo bel libro dell’amico Riccardo Saldarelli, ad illustrazione del suo affresco della Via Crucis in Santa Maria delle Grazie, a Caprese, nella Valtiberina Toscana, rappresenta nel contempo un atto di fede personale e un documento ecclesiale.
È ‘personale’ perché, dedicato al figlio Stefano, racchiude l’amore distillato anche dalla sofferenza del padre artista: i particolari riprodotti e il testo commovente ne comunicano pienamente il senso. È poi ‘ecclesiale’ perché, nell’attuale situazione di trauma culturale che la Chiesa come tutte le istituzioni sperimenta, Saldarelli ha scelto il linguaggio dell’immagine: l’idioma cioè da sempre preferito dal cristianesimo per esprimere il vangelo di Gesù Cristo, egli stesso un Verbo che si è reso visibile (cfr. 1Gv 1,1-4), o - come lo chiama san Paolo - semplicemente “la immagine dell’invisibile Dio” (Col 1,15).
Anche il magistero cattolico enfatizza l’importanza di questo linguaggio oggi. Come già pubblicato e diffuso nel 2005 dalla Libreria Editrice Vaticana di concerto con le Edizioni San Paolo, il Compendio curato dalla Commissione speciale istituita da Giovanni Paolo II e presieduta dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI, era infatti corredato di un certo numero di illustrazioni di cui la prima - l’icona del Cristo benedicente di Teofane di Creta conservata nel monastero Stavronikita sul Monte Athos - evoca il principio enunciato dal testo al numero 240, secondo cui “l’immagine di Cristo è l’icona liturgica per eccellenza”. Una parola specifica sulle immagini sacre - al capitolo del Compendio dedicato appunto a “La celebrazione sacramentale del mistero pasquale” - ricorda poi che esse “proclamano lo stesso messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la parola, e aiutano a risvegliare e a nutrire la fede dei credenti”, e che, anche laddove il soggetto raffigurato non sia letteralmente il Signore, tutte le immagini cristiane “significano Cristo, che in loro è glorificato”. Inoltre, come diceva l’allora Cardinal Ratzinger nell’introduzione al Compendio: “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. È un indizio, questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’im-magine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico”.
L’arte visiva è tra gli strumenti di formazione più antichi che la Chiesa conosca, e non a caso Giovanni Paolo II, in uno dei primi documenti del suo pontificato - l’Esortazione Apostolica Catechesi tradendae (1979) - dopo aver situato gli inizi della catechesi cristiana nella persona e nell’opera del “Cristo docente” - ha subito ricordato la tradizione artistica della primitiva comunità cristiana: “Questa immagine del Cristo docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante, immagine disegnata dalla penna degli evangelisti e spesso evocata in seguito dall’iconografia sin dall’età paleocristiana - tanto è seducente - amo evocarla a mia volta, all’inizio di queste considerazioni intorno alla catechesi nel mondo contemporaneo”(nota 1).
Il passaggio concettuale suggerito in questo passo - da un’immagine letteraria ‘disegnata dagli evangelisti’ ad un’immagine pittorica - si rifà alla tradizione che vuole san Luca ‘pittore della Vergine’, causa l’eloquenza del ‘ritratto’ di Maria nelle pagine del suo vangelo, e viene completato nella stessa Catechesi tradendae, nel paragrafo focalizzato sull’attività catechetica del Signore, “Docente mediante tutta la sua vita”, dove Giovanni Paolo II insiste che “la maestà del Cristo docente, la coerenza e la forza uniche del suo insegnamento, si spiegano soltanto perché le sue parole, le sue parabole e i suoi ragionamenti non sono mai separabili dalla sua vita e dal suo stesso essere” (nota 2). Il Verbo si fa carne, cioè, ma rimane tuttavia ‘Verbo’: assoluta e definitiva espressione della Vita Divina, così che le sue parole e i suoi gesti, e perfino le immagini scaturite dalle sue parole e dai suoi gesti, hanno qualcosa del potere di Dio. Le immagini sono poi ‘seducenti’ perché - in analogia con Cristo, che attraverso il velo della sua umanità rivelava il Padre e lo Spirito -, parlano al cuore dell’uomo della sua vocazione celeste.
‘Parlano’. Ma in verità pittura, scultura ed architettura non parlano: esse fanno vedere, fanno toccare, fanno entrare fisicamente nel sacro. L’arte della Chiesa invita a conoscere in modo sperimentale il Dio che in Cristo ha voluto essere (appunto) visto, toccato, praticamente abitato. Il primo paragrafo della Catechesi tradendae sottolinea questa volontà divina, collegando l’ultima consegna di Cristo, quella di rendere discepole tutte le genti, alla missione e al potere dati agli Apostoli di “annunciare agli uomini ciò che essi stessi avevano udito, visto con i loro occhi, contemplato e toccato con le loro mani riguardo al Verbo di vita” (nota 3). Sin dall’inizio, perciò, il compito di comunicare la fede in un Dio incarnato sembra presupporre questo strumento incarnazionale che è l’arte, dal momento che l’arte visiva è capace - alla stregua della parola scritta e talvolta meglio di essa - di rendere ‘visibile’, ‘tangibile’ e ‘abitabile’ il mistero nascosto da tutti i secoli ma rivelato nella vita di Cristo e della Chiesa.
Ecco ciò che l’affresco del Saldarelli a Caprese vuole fare, ed ecco anche lo scopo del presente volume.
Bravo Riccardo!
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Note
1 Catechesi tradendae, n. 8.
2 CT 9.
3 CT 1, cfr. 1 Gv 1,1
 
 
 
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