Brani d'affresco - Riccardo Saldarelli

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Brani d'affresco

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Presentazione di Federico Napoli alla mostra di Riccardo Saldarelli
“brani d’affresco, pixel ed altro ancora linguaggi e metalinguaggi pittorici”
30 novembre - 12 dicembre 2005 - GRUPPO DONATELLO - FIRENZE

DALL’OGGETTO D’ARTE ALL’EVENTO - BRANI D'AFFRESCO

Una Via Crucis in affresco, più l’immagine della Resurrezione: tutto concluso (dopo due anni di lavoro) nel 1985 da Riccardo Saldarelli nella piccola chiesa di santa Maria delle Grazie a Caprese Michelangelo, in Val Tiberina. Oggi, questo, diviene l’oggetto di una mostra in rielaborata riproduzione presso la sede del Gruppo Donatello, in quella zona di Firenze che oltre un secolo fa (ma ancora lo è) fu abitata dagli artisti.

Adunque, voi che con animo gentile sete amadori di questa virtù e principalmente all’arte venite, adornatevi prima di questo vestimento: cioè amore, timore, ubbidienza e perseveranza. Questo scrive Cennino Cennini all’inizio del suo Trattato della pittura, dedicando poi alla tecnica del lavorare in muro cioè in fresco un ampio capitolo con successive specifiche.
Così, la pratica dell’affresco ha affiancato nel Medioevo - definizione tendente ad identificare il periodo di transizione fra l’Età classica e la Rinascenza - il lavoro degli amanuensi, in ambedue i casi ponendo di fronte ai nostri occhi un libro o quello che un tempo era considerato come un libro e cioè da un lato l’incunabolo o la pergamena conservata in biblioteche e destinata alla conoscenza di pochi - Se questo libro diventasse materia di aperta interpretazione, varcheremmo l’ultimo limite e capovolgeremmo l’immagine di Dio dice l’anziano monaco Jorge da Burgos al francescano Guglielmo da Baskerville ne Il nome della rosa di Umberto Eco -, dall’altro l’affresco parietale realizzato in luoghi di affluenza, quindi posto a educazione di tutti. Di conseguenza, le chiese e gli spazi sacri sono divenuti nei secoli luoghi di lettura, grandi biblioteche liberamente accessibili, dove la comunicazione è avvenuta tramite le immagini , con il fine di educare e forgiare in modo inequivocabile, secondo i dettami ufficiali, masse e generazioni di fedeli. La presenza di affreschi negli spazi sacri per le generazioni passate ha costituito un indice di gradimento per questa tecnica, ma ha offerto anche - all’osservazione dello stesso fedele - la conferma della storicità dei fatti ritratti e, quindi, della loro assoluta veridicità, vite di Santi o quant’altro fosse assunto a soggetto.
Dunque, l’affresco nel Medioevo - successivamente le cose cambiano e non poco - viene visto e vissuto come una tecnica molto elaborata per necessità intrinseche come la lenta, successiva lavorazione della superficie di lavoro scandita dalle attese, la preparazione dei colori, la loro stesura a giornata, ancora l’attesa, i ritocchi finali ; ma proprio per questa sua dilatazione creativa nello scorrere delle giornate e dei mesi viene avvertita anche come conferma di una fede mantenuta intatta durante il tempo di lavoro, evidente frutto di una certezza fideistica.

Recuperare oggi la tecnica dell’affresco significa due cose (magari accanto ad altre): testimoniare e riflettere. La testimonianza è la prova di un atteggiamento spirituale di ricerca del sacro, anzi di possibilità espressiva del sacro: evidenziare a se stessi ed agli altri il proprio credo senza disillusioni.
La riflessione è, invece, frutto di una meditazione sul contemporaneo: tempo confuso (spesso) perché convulso, veloce nel suo rinnovarsi, amante dell’immediato, costantemente proteso verso una novità sempre successiva, frequentemente attratto più dalla immediata superficialità delle cose che non dai valori in esse conservati. In questo, l’uso della tecnica a fresco sembra andare controcorrente, prendere tempo, ritagliare uno spazio sicuro, delineare valori precisi e inamovibili, recuperare il passato con l’uso di una forma espressiva. Così, qui c’è modo per Saldarelli di disporre suggestioni idee personaggi; c’è la possibilità di recuperare ricordi; c’è lo spazio per gli affetti. La lunga teoria di immagini - oltre venti metri lineari - che corre sulle pareti della chiesetta di santa Maria delle Grazie a Caprese Michelangelo, in Val Tiberina, negli sfondi paesaggistici, nelle vesti ed in certi raggruppamenti si offre offre a riproporre immagini (ed emozioni) rimaste nella memoria da viaggi effettuati in Medioriente (Iran), oppure nel Gennargentu o nelle Madonie.
Ma a questo, Saldarelli affianca spunti più legati all’ acquisita lezione tratta dalla storia dell’arte, come l’uso di una luminosità prospettica mediata da Piero della Francesca, il delineamento di piccoli spazi compositivi (comunque di ampio respiro) di ascendenza giottesca, figure statuarie omaggianti nella forma la lezione di Michelangelo, una storia realizzata (classicamente) per stazioni successive e formalmente fluenti l’una nell’altra senza soluzione narrativa di continuità. Fluidità, questa, che nell’autore si avvale di una manus pingendi assecondante la mente nel recupero di frammenti passati (appunto i ricordi di luoghi visti e vissuti: qui forte appare - quasi da meritare una trattazione a parte - la suggestione di un certo clima umano proprio della Sardegna, almeno di quella protagonista della letteratura di Grazia Deledda, costituito dalla sofferenza, sempre uguale e sempre immobile nel tempo), ma recuperando anche quanto a lui d’intorno, concretizzato da Saldarelli nell’assunzione di abitanti del paese come modelli per la stessa storia sacra: così apre verso il territorio di cui la piccola chiesa dedicata a Maria è segno inequivocabile e nello stesso raggiunge l’ulteriore effetto di rendere salva la riconoscibilità e l’identificazione di quanto narrato. Tra questi modelli, l’autore colloca se stesso nelle vesti del Cireneo - segno di una personale partecipazione, di una segreta penitenza -, realtà nella finzione (o l’inverso), episodio complesso, ricco di toni e varietà di livelli.
Il tutto, è certo un messaggio di pace, ma anche di fede, di perizia tecnica - alla realizzazione dell’affresco hanno assistito allievi di Saldarelli provenienti dai suoi corsi tenuti negli Anni Ottanta presso l’Accademia di Belle Arti a Firenze -, con il cantiere aperto a lungo (due anni); indice di riappropriazione della propria storia, di un ritrovato linguaggio espressivo, in un mondo fatto di tante parole, ma in sostanza chiassosamente silenzioso.

Dalla chiesetta di santa Maria delle Grazie in Caprese Michelangelo al fiorentino spazio espositivo del Gruppo Donatello: dal passato dell’arte al presente, dall’eleganza della tradizione e della nobiltà del fare ad un preciso segno di appartenenza al contemporaneo, tramite un procedimento realizzativo che è tecnico , ma nello stesso anche creativo. Ecco, così, la riproposta di taluni brani dell’affresco di Val Tiberina organizzata nella sede di uno spazio espositivo, avente una diversa dimensione e destinazione; ecco una testimonianza di sacro personale, in aggiunta dedicato ad una precisa collettività locale, venire decontestualizzata e conseguentemente inquadrata in un altro gruppo sociale come frutto, ora, di un gesto estetico. Un lungo lavoro di accurata replica dell’originale, in scala paritetica, ripropone alcuni brani dell’affresco e della storia narrata in altrettanti multipli digitali, priorizzando, così, il medium: cioè, non il mezzo, ma la sua utilizzazione, in tal modo facendo coincidere il messaggio con il medium stesso. D’altro canto, è inevitabile che quando un sistema giunge alla sua più equilibrata codificazione - come è avvenuto al mondo delle arti visive ritualmente stretto attorno all’oggetto-quadro ed al personaggio-artista -, avvenga una frattura a tutto vantaggio di una via diversa di ricerca. Di conseguenza, da questa mostra di Riccardo Saldarelli, accanto ad un’ occasione espositiva ricca di quei livelli di apprezzamento propri di un momento estetico (e, perché no, etico), scaturisce anche una opportunità di riflessione su come, nella società nostra contemporanea in rapida trasformazione, tutti noi siamo testimoni (non sempre consapevoli) delle modifiche continue che dobbiamo apportare al nostro rapporto e raccordo con il mondo circostante, cambiamento a cui il nostro stesso linguaggio comunicativo è obbligatoriamente sottoposto.

Firenze, ottobre 2005
Federico Napoli
  

 
 
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